Azzurro, rosa, bianco e oro, sono
i quattro colori che,nell’etimologiaRajasthana, contraddistinguono rispettivamente le città
di: Jodhpur, Jaipur, Udaipur e Jaisalmer. Quattro splendidi luoghi, molto
diversi tra loro, con in comune la bellezza di una terra gloriosa, piena di
storia e di fascino.
L’India ospita, sul suo immenso
territorio, più di un miliardo d’individui appartenenti a centinaia di etnie,
con usi e costumi diversi tra loro, per: religione, abitudini, idiomi.
Il caleidoscopio della sua
società spicca tra l’altro, anche per la propensione al colore del suo popolo.
Seppure il bianco sia predominante, i colori più sgargianti in mille sfumature
sono un distintivo inconfondibile dei suoi abitanti.
Le principali manifestazioni indiane sono dominate dai colori, da quelli
dei fiori, a quelli dei sari femminili, da quelli dei turbanti, a quelli delle
dimore, siano esse ricche o modeste. Addirittura, si svolgono festival, durante
i quali, le genti si lanciano manciate di polvere colorata, come da noi i
coriandoli a carnevale (holy, 13 marzo).
Si può, invece, intuire perché si sia deciso
di colorarle. Lo stato indiano del Rajasthan, il più grande della Repubblica
dopo il Madya Pradesh, è situato ad ovest del sub-continente ed è ubicato nel
grande deserto di Thar. Anche se parte del suo territorio può essere
considerato semiarido, a ragione dei vari arbusti e delle verdeggianti oasi che
vi allignano, il colore predominante del terreno è quello dorato della sabbia.
I fondatori delle città, perciò, hanno ritenuto opportuno usare colori che si
stagliassero nettamente sul fondo sabbioso.
Così, le donne rajasthane portano
i sari e gli uomini i turbanti più vistosi di tutta l’India. In qualunque
angolo del paese incontrerete un rajasthano, l’individuerete immediatamente per
la vivacità cromatica del suo abbigliamento.
Ciò premesso, avventuriamoci
insieme nel deserto ed andiamo a visitare queste splendide “città colorate”.
Provenendo da New Delhi, la prima
che si incontra è Jaipur, la capitale dello Stato, detta “la città rosa”. Anche
se, in realtà, si tratta più spesso di un colore più vicino al rosso mattone
che al rosa, l’appellativo è comunque appropriato.
La tradizione attribuisce al
Maharaja Man Singh, l’idea di costruire la città e in particolare gli edifici
pubblici, in arenaria rosa, in segno di benvenuto al Principe di Galles (futuro
Edoardo VII°), che visitò Jaipur nel 1876.
Oggi, chi possiede una casa o la costruisce
nella zona storica, è tenuto a mantenere questa colorazione. La città non ha
origini antichissime, fu nel 1727 che il maharaja Sawai Jai Singh II° diede
inizio ai lavori per la sua fondazione. Essa è circondata da colline sulle
quali si ergono mura merlate di protezione. Lo stile architettonico segue i
principi Indù del Shilpa Shastra. Le vie principali e le piazze sono molto
ampie, alcune sono larghe sino a 36 metri e comunque mai inferiori ai 18.
Data la lungimiranza governativa e la
tolleranza religiosa di Jai Singh, molti commercianti e studiosi vennero a
popolare la città. Significativo è l’osservatorio del 1734 (Jantar Mantar) col
quale Jai Singh volle ripetere quello fatto costruire a Delhi nel 1725, cui
seguirono, sempre per sua volontà, quelli di Ujjain, Varanasi e Mathura. Tra i
vari palazzi di ottima fattura, in qualche caso ora un po’ decadenti, quello
che rende Jaipur famosa nel mondo, essendone divenuto il simbolo, è senz’altro
l’Hawa Mahal , o palazzo dei venti.
Questa costruzione a cinque piani
di finissima fattura e dall’aspetto magico, sembra un gigante di terracotta ed
è costituita dalla sola imponente facciata dietro alla quale non v’è nessun
palazzo.
Fatto edificare da Pratap Singh
nel 1799, sembra, fosse stato dedicato a Krishna e Radha, due divinità
dell’affollatissimo Olimpo Indù. Dall’esterno, sono visibili 953 nicchie e
finestre, nei tre piani superiori vi è una sola stanza, dalla quale le
cortigiane assistevano alle sfilate e ai cortei che si svolgevano nella strada,
senza essere viste.
Jaipur è anche la città dei mercati, ve ne sono
parecchi, sparsi un po’ ovunque, tutti coloratissimi e molto animati. Malgrado
l’abbia visitata in più occasioni, la trovo sempre bella e affascinante.
Lasciando Jaipur in direzione
sud-ovest, dopo trecentoquarantatre chilometri si raggiunge Jodhpur, la “città
azzurra”. Oggi, con oltre 350 mila abitanti, è la seconda città del Rajasthan
e, come in passato, ricopre un importante ruolo nei commerci, dal legname al
cotone, alle pelli al sale, al bestiame e ai molti prodotti agricoli.
Già all’epoca della sua
fondazione, per mano di Rao Jodha (da cui il nome) avvenuta nel XIV° secolo, la
sua posizione situata sulle direttrici commerciali est-ovest, tra Asia Centrale
e Cina, e su quella strategica Delhi Gujarat, permise ai mercanti Marwari di
accumulare ingenti fortune col commercio di: avorio, sete, rame, spezie, oppio
ed altre merci esotiche.
Tutto ciò fece sì che, molte
haveli (palazzi sontuosi) fossero
costruite sul suo territorio dominato da una collina sulla quale sorge il
Meherangarh Fort, una delle più possenti e meglio conservate strutture militari
dell’intera India. Come ebbe a dire lo storico inglese Percy Brown, “questo
palazzo resta insuperato per la grandiosità della concezione e per l’eleganza
dei dettagli”.
A somiglianza di altre fortezze Rajput, anche
questa è ispirata al forte di Gwalior del XV° secolo e fu fatta edificare dal
Raja Man Singh su una rocca circondata da uno strapiombo di oltre centoventi
metri, le sue mura sono spesse ventuno e alte trentasei metri.
Da quassù, il nomignolo di città
azzurra si comprende appieno, lo sguardo abbraccia l’intera città vecchia, le
cui case, sono rigorosamente dipinte in azzurro, con tonalità che vanno dal
celeste al pervinca.
Jodhpur offre al turista
innumerevoli meraviglie: palazzi principeschi, musei e bazar. Circolando per i
suoi vicoli, si osservano scene di vita quotidiana nell’autenticità di un
ambiente sostanzialmente immutato nei secoli. Qui ebbe inizio la leggenda
Rathor che, secondo la tradizione, vedeva il clan discendere da Rhama, il Dio
Indù eroe del poema epico Rhamajana. La leggenda vuole che Jodha, uno dei
ventiquattro figli di Rainmal, fu consigliato da un sant’uomo a costruire il
forte sulla collina, nel 1458 circa. Questa città storica costituisce una meta
irrinunciabile per chi attraversi le dune del Thar. Malgrado mi dispiaccia
lasciarla, il mio viaggio prosegue.
Da Jodhpur, la strada, che
continua verso occidente, risale in direzione nord per raggiungere in
trecentotrenta chilometri la “città d’oro“: Jaisalmer che, come un miraggio,
sorge tra le dune sabbiose del Sind.
Al tramonto, i bastioni di arenaria gialla che
difendono la cittadella, edificata nel XI° secolo, pervasi dai raggi obliqui
del sole, giustificano tale appellativo. Questo è l’ultimo avamposto indiano
verso la frontiera occidentale, dopo l’assegnazione al Pakistan, avvenuta nel
1947, della valle dell’Indo e del Sind.
Anche qui, come del resto ovunque in India, le
origini della città si perdono in un lontano passato, in cui un principe del
clan Bhatti, certo Jaisal, fu ispirato nel 1156 da un eremita, di nome Eesul, a
costruire sulla collina di Tricuta, la rocca di Jaisalmer.
Le vicissitudini di Jaisalmer furono
innumerevoli e violente, come molti e violenti, furono i suoi governanti.
Orgogliosi di un’improbabile discendenza divina, coraggiosi e temerari in
battaglia, infidi alleati, i Rajput Bhatti, sono ricordati come i più
pericolosi predoni del deserto. Essi vennero persino paragonati a lupi,
combatterono aspramente contro i Rathor di Jodhpur e di Bikaner battaglie
infinite e memorabili per ferocia e numero di vittime.
Le fortune della città erano
legate ai pedaggi estorti alle numerose carovane che attraversavano il suo
territorio.
La sua storia mutò con l’avvento
dei Musulmani nel XIII° secolo, venuti per imporre fanaticamente l’Islam. A
questo punto i Rawal, (così erano chiamati i Re di Jaisalmer) per sopravvivere,
dovettero stringere alleanza coi Sultani della Delhi Imperiale.
Con l’apertura del porto di Bombay, nel XVIII°
secolo, la via delle spezie perse d’importanza, la fortuna cessò di colpo e
Jaisalmer rimase isolata dal resto del paese, un avamposto sperduto tra le
sabbie, l’ultimo dei principati Rajputana a firmare l“instrument of agreement”
con gli inglesi.
Oggi è meta turistica di grande
interesse e sede, ogni anno, nel mese di febbraio, di un festival molto
pittoresco, denominato: Desert Festival. In questa occasione, la città diviene
il punto d’incontro di tutta la “popolazione delle sabbie”. Tra i vari festival
che ho avuto modo di ammirare in India, questo é stato certamente uno dei più suggestivi, sia per
l’ambiente in cui si svolge, sia per tutto ciò che lo anima.
Percorsi seicentosessantacinque
chilometri in direzione sud-est e attraversando una piana desertica dalle mille
sfumature, si raggiunge Udaipur, la “città bianca”.
E così appare da lontano, quando
all’orizzonte si intravedono le torrette dei primi palazzi e i muri intonacati
a calce delle sue case. Come per le precedenti città, anche le origini di
Udaipur discendono da una leggenda: il fondatore, Udai Singh II°, Rana (Re) di
Chittor, dopo una cocente sconfitta subita nel 1567 ad opera dell’Imperatore
Moghul Akbar, si rifugiò sui monti Aravalli e nei dintorni del lago Pichola e durante una caccia,
incontrò un saggio in meditazione che, dopo un lungo colloquio, gli indicò dove
costruire la sua nuova capitale.
Fu così che il Rana si stabilì sulla sponda
est del lago stesso. Bisogna ammettere che la scelta fu felicissima, poiché
anche il visitatore odierno non può che rimanere incantato dalla bellezza e
dall’amenità del luogo.
Adagiata nel verde dei monti Aravalli,
fiancheggiata da tre laghi, Udaipur, appare veramente come un Eden a colui che
giunge dalle infuocate dune del Thar. Le acque limpide del lago principale, il
Pichola, riflettono il candore dei suoi palazzi e il verde della vegetazione
circostante, così come, di notte, riflettono lo scenario fiabesco della
miriade di luci colorate che illuminano
la città.
Tra le sue meraviglie
architettoniche, v’è il City Palace, antica dimora dei sovrani Mewar, il Zenana
Mahal riservato alle regine e il Fateh-Prakash, il più recente palazzo
cittadino, che funge tuttora da residenza del Maharana.
Ma certamente il più celebre è senz’altro il
“palazzo del lago” che, come una nave immacolata, “galleggia” sulle acque del
Pichola. Ripreso in molti film indiani e non, oggi trasformato in un hotel di
lusso, ospita visitatori di ogni parte del mondo affascinati dall’idea di
passare una notte in questa atmosfera principesca.
Le bellezze di Udaipur sono
numerose e s’intersecano una nell’altra, dando luogo ad un ambiente idilliaco:
splendide architetture, musei ricchi di opere d’arte, paesaggi ameni e una
fauna umana tra le più simpatiche e cordiali del paese. Il candore della
maggior parte dei suoi edifici, nella zona vecchia della città, spicca sia
sotto i cocenti raggi del sole, che nella penombra della notte, quando appare
come ammantata di un alone chiaro, in netto contrasto con l’oscurità della
vegetazione e delle acque lacustri.
Il Rajasthan è uno scrigno ricco
di pietre preziose che custodisce gelosamente e con giusto orgoglio, come:
Ranakpur, Monte Abu, Bikaner, Bundi, Navalgarh, Ranthambore e molte altre. Ma,
queste quattro città sono certo tra le più curiose ed originali anche per la
stravaganza dei loro colori.
Tra le popolazioni dell’India,
quella rajasthana, pur nella modestia di una società agricola e in qualche caso
ancora seminomade,gode di un tenore di vita superiore a quello di altre aree
del paese. Qui la miseria, intesa come piaga endemica, è relativa anche se non
si possono negare sacche di povertà. I rajasthani sono un popolo fiero,
cordiale e pieno di risorse. Fare paragoni con altre regioni dell’India è
pleonastico ma certamente questo stato è uno dei luoghi più affascinanti in
assoluto, lasciarlo per tornare a casa é doloroso. Mi consola il fatto che
posso sempre ritornare, come del resto ho già fatto per ben tre volte!
http://www.rubyholidays.it/rajasthan-india/
http://www.rubyholidays.it/rajasthan-india/
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